Una fiaba di Natale: Schiaccianoci e il re dei topi

I romantici tedeschi, esponenti di un movimento di pensiero che, in risposta ai freddi canoni del razionalismo, esaltava al massimo grado il regno della libera fantasia, della soggettività dilatata all’infinito, capace di superare la concretezza del reale in voli immaginari sfuggenti agli schemi della coerenza razionale, portarono la fiaba ai massimi livelli di dignità letteraria. Questo genere in prosa, connotato dall’elemento dello stupefacente e del portentoso, fu, dopo la poesia, la forma letteraria da loro più amata. Basti pensare che proprio in epoca romantica i Fratelli Grimm si premurarono di raccogliere il patrimonio favolistico di tradizione germanica, pubblicando una delle opere più lette e tradotte al mondo: Kinder- und Hausmärchen (Fiabe per l’infanzia e la vita domestica), raccolta che contiene storie notissime, come quella di Cenerentola, di Biancaneve, di Hänsel e Gretel o di Cappuccetto Rosso.

Le fiabe di Fratelli Grimm, anche se sottoposte a cosmesi e non trascritte direttamente dalla tradizione orale, come s’era creduto a lungo, hanno un carattere volutamente popolare (Volksmärchen).

I romantici tedeschi si dedicarono però anche a un altro tipo di fiaba, la cosiddetta “fiaba d’arte” (Kunstmärchen), dal carattere stilisticamente più accurato e dalle pretese estetiche maggiori. Mentre nella fiaba popolare, l’angoscia, tratto sempre presente in questo genere di racconto (si pensi ai molti bimbi abbandonati nel bosco che diventano vittime dell’avidità di orchi e streghe malefiche), si risolve sempre con un lieto fine, la fiaba d’arte non sempre si conclude con il trionfo della felicità.

A questo secondo genere di fiaba si dedicò anche Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, forse il più geniale e poliedrico esponente del Romanticismo tedesco. Nato a Königsberg nel 1776, si chiamava in verità Ernst Theodor Wilhelm, ma nel 1805 (poco più che trentenne) cambiò il suo nome in  Ernst Theodor Amadeus in omaggio a Mozart. La sua prima passione fu infatti la musica, campo nel quale operò come direttore d’orchestra, compositore e critico musicale. Ma, figlio di un giudice, fu anche apprezzato giurista, e poi disegnatore, grafico, giornalista e, non da ultimo, scrittore prolifico e geniale.

Spirito inquieto, Hoffmann, condusse una vita ricca di cambiamenti professionali e di spostamenti geografici: visse a Posen, a Bamberg, Dresda, Varsavia e Lipsia e morì a Berlino a soli 46 anni, dopo aver lasciato un’eredità spirituale immensa. Anche la sua stabilità affettiva venne più volte messa in crisi da improvvisi cambiamenti. Dopo un fidanzamento di anni, lasciò la sua compagna storica per sposare una giovane polacca di umili origini, da cui ebbe una figlia, Cecilia, che morì bambina. Il matrimonio non gli impedì tuttavia di contrarre la sifilide da un’amante occasionale o di innamorarsi fino a dar scandalo di una sua allieva.

Il suo caos personale si riflette anche nella produzione letteraria di Hoffmann, i cui testi parlano di un mondo grottesco e sfuggente ad ogni logica. Lo scrittore predilige i paesaggi fantasmagorici e inquietanti della tarda sera o della notte, dove si muovono personaggi allucinati, vittime di oscure forze demoniache, di strane telepatie e di inquietanti visioni. Le sue figure sono creature attratte da assurdi miraggi e da terribili incubi, insomma individui dalla coscienza sdoppiata, sempre in bilico fra sanità e follia, ma anche sempre guardati a distanza dall’autore, con quella romantica ironia che non li risparmia dall’assumere, nella loro tragicità, tratti buffoneschi e ridicoli. Uno di questi personaggi è il polivalente Drosselmeyer della fiaba Nußknacker und Mäusekönig [Schiaccianoci e il re dei topi], pubblicata nel 1816.

Che cosa racconta questa fiaba?

È la vigilia di Natale e due fratellini, Fritz e Marie, attendono ansiosi di scoprire che cosa sia arrivato loro in dono sotto l’albero. Le loro aspettative sono più che tradizionali: la bimba pensa a nuove bambole, il ragazzino a nuovi soldatini. Quando le porte del salone – l’ambientazione è altoborghese – si aprono, i bambini trovano quel che desiderano. Giunge poi il loro padrino Drosselmeyer, figura fra il bonario, ridicolo e il sinistro, che porta in dono un meraviglioso castello dai movimenti meccanici, che però interessa poco ai bambini, perché è ripetitivo e non permette la libera esplicazione della loro fantasia. Quando Marie scopre sotto l’albero uno schiaccianoci di legno che ha la forma di un piccolo ufficiale, sproporzionato e bruttino, ne fa il suo pupillo e decide di proteggerlo, soprattutto dopo che suo fratello, facendogli schiacciare una noce troppo grande e troppo dura, gli fa perdere alcuni denti e gli mette fuori uso la mandibola.

Alla fine della festa, quando tutti vanno a letto, Marie ottiene il permesso di restare alzata ancora un po’, benché sia quasi mezzanotte. A questo punto la bambina s’addormenta e fa un sogno, o meglio è colta da una sorta di allucinazione: vede la stanza invasa da una folla di topi, capeggiati da un re con sette teste e sette diademi. Come i topi si preparano ad attaccare Marie, Schiaccianoci chiama a raccolta i soldatini di Fritz e si prepara alla battaglia. A tutta prima i topi sembrano avere la meglio, ma quando uno di loro entra nella bocca di Schiaccianoci, Maria difende il suo diletto lanciando una scarpa contro i topi, ma vien morsicata e sviene.

Al risveglio, si ritrova nel suo letto, ferita a un braccio. Cadendo ha infatti la vetrina dell’armadio dei giocattoli e ha coso il rischio di dissanguarsi. Drosselmayer le riporta Schiaccianoci aggiustato e le spiega che il suo protetto è così bruttino per via della principessa Pirlipat, di cui le racconta la storia. Hofmann ricorre cioè all’espediente della fiaba nella fiaba.

La principessa Pirlipat viene osservata a vista a corte da una serie di fantesche e di valletti, perché la regina sua madre teme la vendetta della regina dei topi. Mentre infatti, come era sua abitudine, la regina, preparando personalmente le salsicce per suo marito, stava abbrustolendo in cucina dello speck, era stata visitata dalla regina dei topi che, insieme alla sua prole e ai suoi numerosi parenti, le aveva mangiato quasi tutto lo speck previsto per le salsicce. Depauperate da tanto grasso, le salsicce  avevano fatto male al re, tanto che ne era quasi morto. Allora l’orologiaio del re, che si chiamava pure Drosselmeyer, aveva inventato la trappola per topi, procurando a molti di essi la morte. Allora la regina dei topi aveva giurato vendetta e promesso di uccidere a morsi la principessa Pirlipat. Nonostante le fantesche stiano a guardia della culla, ognuna con un gatto in grembo, una notte, a mezzanotte, la regina dei topi raggiunge la culla di Pirlipat e la morde: la bambina diventa così un mostriciattolo dalla testa grossa e dal corpo sproporzionato. Il re, disperato, ordina a Drosselmeyer, pena la decapitazione, di trovare un rimedio per far tornare la bambina al suo splendore. Drosselmeyer si rivolge all’astronomo di corte, che, dopo aver consultato molti libri, afferma che Pirlipat sarebbe tornata al suo splendore, anzi diventata ancor più bella, se avesse mangiato il gheriglio della noce Krakatuk (nome onomatopeico, perché “kracken” significa appunto schiacciare). Drosselmeyer deve quindi andare in cerca di questa noce durissima e di un giovanotto non ancora mai rasato, che dovrà fare sette passi all’indietro senza inciampare, rompere la noce e passarne il gheriglio alla principessa. Dopo quindici anni di ricerche per il mondo, Drosselmeyer torna a Norimberga, la sua città natale, e trova la noce Krakatuk presso un cugino, il cui figliolo è un giovinetto che non si è ancora mai rasato: se spaccherà la noce e ne passerà il gheriglio alla principessa Pirlipat, restituendole la bellezza, ne otterrà anche la mano. Il giovane riesce a schiacciare la noce, a rendere di nuovo bellissima la principessa, ma quando retrocede, al settimo passo inciampa nella regina dei topi. Calpestandola, la uccide, ma subito si trasforma in un mostro e Pirlipat non lo vuole più come marito. Morendo la regina dei topi gli giura vendetta: dovrà vedersela con il suo ultimo figlio, il re dei topi dalle sette teste. (Questa “fiaba nella fiaba” che nel noto balletto verrà eliminata).

Marie ormai considera il suo schiaccianoci quello della fiaba, vittima di un brutto incantesimo da parte della regina dei topi. Prega allora Drosselmeyer di aiutarla a farlo tornare un bel principe, ma questi le dice che solo lei può operare questa metamorfosi, e che per farlo dovrà soffrire e sostenere sempre il suo Schiaccianoci, insidiato in ogni modo dal re dei topi dalle sette teste.

Il sorcio ostile pretende prima da Marie tutti i suoi dolci natalizi per salvare Schiaccianoci. Quando però pretende anche i suoi libri illustrati e il suo bel vestitino, Schiaccianoci scende in campo, uccide il re dei topi e chiede alla bambina di seguirlo. La porta così in un paese fatato, dove i fiumi sono di limonata e di miele e le case e i villaggi di zucchero e marzapane e dove tutto ha profumo di pasticceria e di aromi meravigliosi. Poi, attraversato il lago delle rose, i due giungono alla capitale di quel regno dove tutto è meravigliosamente dolce e odoroso, dove sono radunate persone provenienti da tutto il mondo. I due giungono alla fine a un castello di marzapane dalle cento torri, dove Schiaccianoci presenta alle sue sorelle principesse la bambina sua salvatrice. E le principesse la accolgono preparando per lei un meraviglioso banchetto.

Alla fine di questo bel sogno Marie si ritrova nel suo lettino dopo un lungo sonno. Quando racconta del suo viaggio, tutti la considerano una sciocca fantasiosa. Ma un bel giorno, non appena ha dichiarato di amare il suo schiaccianoci anche se non è più un bel giovane, costui si trasforma di nuovo nel principe, la sposa e la porta con sé nel suo castello di marzapane. amor vincit omnia.

Schiaccianoci è un antieroe, ma vince grazie alle sue qualità di incompiutezza, goffaggine e fragilità. È Marie, bambina innocente e disponibile allo stupor a riconoscere la meraviglia nella sua deformità. Per questo le è alla fine concesso di accedere con lui in una sorta di paradiso.

Nel 1838, della fiaba di Hoffmann uscì una traduzione anonima in francese. In traduzione si perde uno dei significati profondi della fiaba, in quando l’espressione “schiacciare una noce dura” in tedesco ha anche una valenza traslata e significa: risolvere un problema importante, e, più in generale, affrontare con coraggio le difficoltà che la vita propone. Basandosi sulla traduzione francese, nel 1845 Alexandre Dumas padre adattò la fiaba per il suo pubblico, attribuendole il titolo: Histoire d’un casse-noisette.[Storia di uno schiaccianoci] Dumas mantenne la traccia di Hoffmann sul piano del contenuto, ma eliminò gli aspetti più inquietanti dell’originale proprio con l’aggiunta del termine “storia” nel titolo. Nella versione di Dumas – maestro della narrativa e autore di romanzi quali Il conte di Montecristo o I tre moschettieri –  c’è infatti un narratore che parla in prima persona: durante la notte di Natale, si addormenta su un divano e viene svegliato da alcuni bambini in festa. Per farli stare buoni, racconta loro una storia, quella appunto dello Schiaccianoci. Quello che rende la storia di Dumas meno “gotica” è il fatto che non c’è, come in Hoffmann, un continuo intersecarsi di realtà e portento, di quotidianità e surreale, perché qui c’è un narratore e quindi gli ascoltatori (i bambini) sanno che si tratta di una storia di fantasia. La traduzione della fiaba tedesca e quella dal francese sono entrambe presenti nel volume pubblicato da Donzelli

Sulla versione di Dumas si basò poi il coreografo Marius Petipa per scrivere il libretto per il balletto musicato da Pëtr Il’ič Čajkovskij e andato inscena per la prima volta a San Pietroburgo nel 1892, un anno prima che il compositore russo si suicidasse. Il successo fu immediato, tanto che lo Schiaccianoci continua a essere una delle opere intramontabili del periodo di Natale.

 

 

 

 

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